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IL CALCIO IN ITALIA E’ SENZA VIE D’USCITA?

A volte qualche collega e, nella fattispecie, Carmelo Domini del Corriere di Romagna, libero da ogni pensiero, comincia a scrivere di getto quelle che sono le sensazioni che gli ha trasmesso una foto. La foto di Inzaghi nel giorno dell’addio di Andrea Pirlo. Da questo ritratto nasce una congettura strepitosa sul calcio italiano e sulla passione che gli stessi hanno con questo sport. Leggendo ti accorgi che ha raggiunto un’opinione che si sposa appieno con la nostra: “il calcio di oggi non ha …”.
Lascio i puntini perchè è giusto che certe cose le lasciamo raccontare al collega Carmelo:
“Non credo sia solo una questione di talento. Credo sia anche una questione di valori e di educazione. Di tempi che cambiano.
Non penso sia un caso che quella generazione sia stata l’ultima a vincere tutto e, soprattutto, l’ultima a vincere un mondiale dove quest’anno non andremo nemmeno.
Con un filo d’orgoglio penso che quella generazione è anche la mia. Quella dei 40enne di oggi. Siamo stati gli ultimi a giocare nelle strade. A dribblare amici e lampioni. Per noi il calcio non era uno sport e nemmeno solo un gioco. Il nuoto era uno sport. Il Monopoli era un gioco. Il calcio era un’altra cosa. Era una passione. Era parte della nostra vita.
Un compagno di scuola se lo incroci per strada puoi anche far finta di non conoscerlo. Un compagno di squadra si saluta sempre. Anche se sei di Ravenna (presumiamo ci sia astio tra la città dove lui è nato e Ravenna – ndr).
Per noi la partita della domenica non era un impegno tra il corso di hip hop e il karate, ma era un premio. Si andava a giocare al campo e poi si tornava a casa, stanchi, e si andava di corsa al campetto. Le partite finivano quando fischiava il sole.
Dicono che i settori giovanili sono in crisi. Cazzate. Dove sono i settori giovanili in Argentina o in Brasile? Eppure loro i campioni li hanno.
Perché? Forse perché hanno ragazzi che ancora giocano per passione. Da noi invece sono cambiati i ragazzi e le regole.
E quindi, mi viene da dire, i genitori. Ditemi l’ultima volta che avete visto dei ragazzi giocare per strada?
Io boh.
Ora i genitori non accettano le critiche degli allenatori ai loro figli. Noi ci prendevamo in silenzio i cazziatoni anche dei custodi del campo e nessun padre avrebbe mai messo in dubbio l’autorità di un adulto.
Ci dicevano che eravamo viziati. Ora mi scappa da ridere. Se avessimo visto uno arrivare con delle scarpe gialle al campo lo avremmo preso a pallonate. I palloni erano solo bianchi e le scarpe erano solo nere. Ma non è una questione di colori. Quelle sono mode. E’ altro. E’ che il sabato sera a quelle scarpe noi gli si dava il grasso di foca prima di metterle nella borsa come fossero spade di samurai. E si annusavano forte prima di dargli la buona notte.
Guardate bene quello della foto. Lo avete riconosciuto? No, mica Inzaghi. Io parlo del pallone. Guardate come se lo tiene stretto Pippo, a 45 anni suonati. A San Siro. Dopo due Champions e una coppa del Mondo. Guardate come lo difende, come lo ama. Io non ho dubbi: quello è il pallone del campetto”.
Tanti di noi si sono rivisti in questa storia, io ricordo che quando mettevo il grasso alle mie scarpe da calcio mi veniva la nausea, ma era la mia spada per vivere nella giungla del calcio.
Ringrazio il collega Domini perchè ci ha fatto rivivere la nostra giovinezza nei sogni ma anche capire, (e questo lo diciamo da tempo) che la strada del calcio in Italia è senza vie d’uscita.

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).