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Dalla radio a DAZN: i media e il calcio raccontati da Riccardo Cucchi

C’era una volta il calcio. Quello vero, che apparteneva alla gente e che spingeva milioni e milioni di italiani ad attendere la domenica con trepidante emozione per giocare la schedina sognando il 13, per guardare una nuova puntata di 90 minuto e per recarsi allo stadio in compagnia di amici e famiglie. Spalti gremiti, senso di appartenenza enorme, partite tutte allo stesso orario dalla A alla terza categoria, l’abbonamento a Telepiù che era un lusso per pochi e non l’abitudine per molti. Oggi le cose sono totalmente cambiate: gli stadi sono vuoti, le esigenze televisive sono anteposte alla passione popolare e anche il modo di raccontare lo sport ha subito una involuzione per certi aspetti preoccupante. Chi si sognerebbe, oggi, di contestare l’operato arbitrale utilizzando l’espressione: “Il signor Lo Bello ha diretto la gara dinanzi a 60mila testimoni” o di esaltarsi perchè “gli spalti sono pieni ai limiti della capienza”, originalità lessicale che apparteneva a tutti quei radiocronisti che regalavano emozioni indescrivibili a tutti gli ascoltatori. “Oggi si parla di attaccare gli spazi, come se stessimo assistendo ad una puntata di Star Trek” il commento del giornalista Riccardo Cucchi che, nell’ambito dell’iniziativa “Eboli Legge” fortemente voluta dall’amministrazione comunale guidata dal Sindaco Massimo Cariello, ha tenuto un convegno relativo anche alla differenza tra il modo di raccontare calcio dell’epoca e quello di oggi.

Nella gremita biblioteca comunale tanti giovani e tifosi di vecchia data si sono confrontati in un clima di grande amicizia e distensione a prescindere dalla fede calcistica: c‘erano esponenti di club juventini e napoletani, i fondatori dell’Eboli Calcio, supporters della Salernitana e finanche della Lazio e del Torino. Tutti ammaliati dalla lezione del professor Cucchi che ha svelato numerosissimi aneddoti fornendo spunti di riflessione che riportiamo brevemente di seguito: “E’ bello ragionare di sport in un luogo di cultura come la biblioteca. Il calcio non è solo un gesto tecnico, ma è un pezzo della nostra vita e della nostra storia. Mi chiedono spesso come si faccia ad essere imparziali quando si commenta la partita della squadra del cuore, la mia risposta è sempre la stessa e può essere da esempio per chi vuole fare la mia professione: quando si accende la lucetta rossa del microfoni io ero pronto a parlare a tutti: dai tifosi della Lazio a quelli del Torino. La mia voce arrivava ovunque, da Aosta alla Sicilia. Le passioni vanno tutte quante rispettate, il primo compito di un radiocronista è il rispetto del’amore della gente per la propria squadra di calcio. Quando urlo “gol” sono consapevole che c’è qualcuno che gioirà e qualcun altro che soffrirà, il mio ruolo impone scindere la fede dal lavoro. Il giornalista è un testimone della realtà, nel nostro caso siamo testimoni di un evento calcistico”.

Non mancano alcuni riferimenti alla sua straordinaria carriera: “Campioni del mondo era stata un’espressione pronunciata solo da Ameri e Carosio, sono il terzo di tre generazioni che ha avuto il privilegio di poter urlare quella frase e vi posso assicurare che il giorno che ha preceduto la finale l’ho trascorso con un pizzico di preoccupazione. Non ho dormito e anche la notte successiva sono rimasto sveglio per l’adrenalina che avevo in corpo. La più grande emozione della mai vita. Ricordo anche con piacere lo striscione che mi ha dedicato la curva Nord di San Siro in occasione della mia ultima radiocronaca. Si giocava Inter-Empoli e quella stessa curva non era stata tenerissima nei confronti di Icardi qualche settimana prima. Ebbene, 15 giorni dopo decisero di applaudire un giornalista: una soddisfazione enorme, mi tremavano le gambe dall’emozione”. Le differenze tra gli stili comunicativi di un tempo e di oggi sono enormi. Basti pensare che negli anni Ottanta la FIGC consentiva alle Radio di commentare soltanto i secondi tempi “perchè temevano che la gente, pur di ascoltare noi, restasse a casa e non andasse allo stadio. Ci seguivano 25 milioni di persone! Oggi mi sembra si vada in una direzione opposta: ci vogliono davanti alle tv e non sugli spalti“. C’è poi il retroscena della famosa diatriba tra Ameri e Ciotti, divisi da una rivalità che sfociò in un simpatico episodio: “Ameri e Ciotti quello che sono paragonabili alla coppia Bartali-Coppi nel ciclismo. Ho imparato ad amare la radio ascoltando loro, ogni volta che nominavano un calciatore aprivo l’album Panini per individuarne il volto. Quando lavoravamo al loro fianco avevamo il compito di contare i corner, non dovevamo fare altro. Non erano persone che davano consigli, dovevamo imparare tutto osservandoli e rubando i trucchi del mestiere. Ricordo che all’epoca vigeva una regola: se su un campo il risultato era già indirizzato non si poteva interrompere il collega per annunciare un ulteriore gol. Tuttavia una domenica Ameri fu interrotto da  Ciotti due volte e si lasciò scappare la frase “Ma si può essere più coglioni di così?” in diretta. Quando si accorse di tutto cercò di arrampicarsi sugli specchi per giustificarsi con gli ascoltatori e sostenne che fu colpa di un gruppo di tifosi che erano entrati in postazione.Sandro era pronto a dimettersi, non si parlarono per anni finché una sera non si ritrovarono ospiti nella stessa trasmissione e raccontarono l’episodio. Finì con un brindisi in diretta

Infine una vera e propria lezione ai giovani: “Un radiocronista racconta dove sta la palla, ha la responsabilità di trovare le parole giuste. Il nostro privilegio è l’assenza delle immagini, il lavoro più grande lo fanno gli ascoltatori che provano a immaginare ciò che non stanno vedendo. Il mio libro è un atto d’amore nei confronti del calcio, complice la radio. Tutto il calcio nasce nel 1960, la prima puntata andò in onda il 10 gennaio a campionato già iniziato perché la RAI non ci credeva. Contemporaneamente c’erano le Olimpiadi, fu la prima esperienza dei collegamenti simultanei. Il consiglio che mi sento di dare agli aspiranti colleghi o ai giornalisti presenti è quello di indossare sulle spalle uno zaino ideale pieno di parole, siamo testimoni della verità e non dobbiamo tradire che si fida del nostro racconto. Vi invito anche a fuggire da alcune frasi che oggi si ascoltano in tv e che spesso ci spingono ad abbassare il volume. Detesto il termine “lotteria dei calci di rigore”, non c’è gesto tecnico più tecnico di un penalty laddove servono lucidità, fermezza, capacità di individuare il colpo giusto su quel pallone, isolarsi dallo stadio e capire la psicologia del portiere. I social? Una straordinaria opportunità, ma sono paragonabili ad una piazza esattamente come quella di Eboli e di Roma, Puoi trovare la persona perbene con cui instaurare un bel dialogo o quello che ama insultare e basta. E’ una opportunità che si può trasformare in antipatico conflitto, ma dipende anche da noi. Usare bene le parole anche da questo punto di vista può dar vita ad una rivoluzione illuminista. A me capita di essere aggredito, quando lo fanno rispondo sempre argomentando e se dimostri che sai dialogare aiuti l’interlocutore a crescere. Purtroppo oggi la narrazione dello sport vuole fare appello alla pancia e non all’intelligenza delle persone, c’è l’idea che creando la polemica si venda maggiormente il prodotto. Mi auguro che la tv urlata spinga le persone a cambiare canale. Vi sembra normale che la Gazzetta dello Sport celebri un’impresa con la foto del gesto di Ronaldo che imita Simeone? Di quella serata magica dobbiamo estrapolare un qualcosa di diseducativo?”

Il convegno, fortemente voluto dal Comune di Eboli e nato con la voglia di avvicinare i giovani alla lettura, è stato organizzato dal Sindaco Massimo Cariello, dall’assessore Angela La Monica, dalla giornalista Maria Vita Della Monica ed è stato moderato dal giornalista Antonio Elia. Bellissimi i momenti di confronto tra tifosi di realtà diverse: simpatici sfottò tra juventini e napoletani, breve excursus sulla storia della Salernitana e sul centenario che sta per essere celebrato, i racconti del Sindaco che ha ricordato la famosa sedia alzata al cielo da Mondonico che allenava il suo Torino, la rinascita del calcio ad Eboli dopo il fallimento. La chiosa è dedicata al mondo arbitrale, Cucchi in merito la pensa così: “Anzitutto non mi piace che si dedichino due ore di trasmissione alla moviola piuttosto che concentrarsi sull’aspetto tecnico. Sono favorevolissimo alla VAR: è assurdo pensare che tutti noi, da casa, possiamo vedere le immagini mentre l’unico uomo deputato a decidere non aveva questa possibilità. L’errore umano farà sempre parte del gioco, impareremo a crescere quando capiremo che scegliere in pochi secondi applicando un regolamento è un qualcosa di estremamente difficile. Ma questa tv urlata con pochi contenuti alimenterà soltanto sterili polemiche”. 

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