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Daniele Nardi e la scalata al Mummery

Il vento è forte e la mano non sente più niente. Per scattare la foto ho dovuto togliere un guanto, ma non volevo perdere l’immagine di Tom e Karim che passano oltre il crepaccio terminale, prima dell’ultima conca glaciale per arrivare a campo 3. Negli anni ho perso parte della sensibilità al polpastrello dell’indice destro, a forza di fotografare e riprendere in condizioni estreme. Questa volta scatto usando il medio. Una folata più forte, la neve si alza e mi oscura la visuale, porto la mano sotto l’ascella per riportare le dita in temperatura. Mi abbasso controvento per resistere al vento, poi mi rimetto in piedi facendo attenzione a non perdere anche questa macchina fotografica. Guardo verso l’alto, Tom mi sta raggiungendo. Mi dà una pacca sulla spalla e io ricambio, come a dirgli che siamo quasi arrivati.
“Tom, some years ago I was here alone, I was really crazy!”
Lui mi guarda, il suono delle mie parole si perde nel vento, ma un gemito mi tradisce, un’emozione mi ha afferrato all’improvviso: non avrei mai creduto che ci sarei tornato davvero, che qualcuno avrebbe creduto al folle sogno dello Mummery. Lui capisce, poi mi spinge per continuare a cercare la via in mezzo al dedalo di crepacci che ancora ci separa dal campo 3.
Riparto sicuro di quello che sto facendo e consapevole che in questa fase di acclimatazione ogni cosa appare più dura. Il fatto di non essere del tutto acclimatati ci fa sentire più freddo, più fatica, più paura, più indecisione. In tanti anni di esperienza in alta quota, ho capito che l’assenza di ossigeno in condizioni estreme incide in maniera decisiva sulla nostra capacità di ragionamento e di mantenimento della determinazione, di focalizzazione sull’obiettivo stabilito, di gestire il corpo. E questo altera la percezione di ogni cosa. Solo un distacco, organizzato e allenato, da ciò che si prova e da ciò che ci trasmettono i nostri sensi permette di restare al limite della vita, al limite del congelamento organico, per poter accedere a energie profonde che vanno al di là della materia e ci permettono di proseguire.
È tecnicamente impossibile sopravvivere al ‘wind-chill’, all’alta quota, alla stanchezza, all’inverno del Karakorum senza attingere a risorse più nascoste dentro il nostro essere.

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).