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“Il Piccolo Principe, un campione a pane e acqua”: la storia di Damiano Cunego

VIMERCATE – “Purosangue: Il Piccolo Principe, un campione a pane e acqua” è la prima autobiografia di Damiano Cunego, scritta in collaborazione con Tiziano Marino, giornalista freelance appassionato di ciclismo, tra l’altro responsabile marketing e comunicazione dell’Albinoleffe (LegaPro) e introdotta dalla prefazione di Davide Cassani. Durante la presentazione del libro, tenutasi ieri pomeriggio presso la libreria Il Gabbiano di Vimercate, l’ex enfant prodige del ciclismo italiano ha ripercorso la sua carriera, soffermandosi sulle vittorie al Giro d’Italia e al Giro di Lombardia, ma anche sullo scontro generazionale con il suo capitano Gilberto Simoni e sulle vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto ma da cui è uscito a testa alta. “Il ciclismo è uno sport di resistenza, più della maratona e dello sci di fondo, che richiede tanta dedizione, sacrificio e ore di allenamento, uno sport a cui il ciclista che vuole raggiungere obiettivi importanti, come il Giro d’Italia, Tour de France o le classiche, deve dedicarsi a tempo pieno”, esordisce così il campione veronese davanti ad un folto pubblico accorso per ascoltare i suoi racconti.

L’inizio di carriera. Mi sono avvicinato tardi al ciclismo, all’età di 15 anni, normalmente i ragazzini iniziano prima, intorno agli 8/9 anni. E in effetti anche le squadre veronesi con cui entrai in contatto hanno fatto fatica a darmi subito fiducia. Una squadra mi ha scartato, mentre una seconda squadra mi ha preso in organico perchè conoscevo i responsabili. E con grande sorpresa da parte loro ho subito vinto tante corse. Correva l’anno 1996/97. Prima del ciclismo ho fatto prima hockey sul ghiaccio e poi un anno di calcio, ma ho subito cambiato idea perchè non mi piacevano gli sport di squadra. Così faccio la corsa a piedi, in cui andavo abbastanza bene. Anche l’atletica non mi piaceva, la ritenevo un pò noiosa, perchè dovevo stare sempre in uno stesso posto, fare i giri di pista, insomma non ci provavo gusto. Invece il ciclismo mi consentiva di fare le stesse cose ma mi dava più spazio, la possibilità di andare da un posto all’altro, fare le salite, le montagne, le discese. Avevo un talento innato che mi ha consentito di avere subito successo, anche senza particolare esperienza”.

La prima corsa e la prima vittoria. “La prima gara è del mese di marzo 1997 a Vittorio Veneto. Capivo poco di corse, ma ero stato molto bravo. Ricordo che quando è nata la fuga di 11 atleti mi sono ritrovato nel gruppo dei fuggitivi, non so neanche come ho fatto. Al traguardo sono ultimo di questo gruppettino perchè ho preso male l’ultima curva prima del traguardo, posto su uno strappo, e gli altri, più scaltri di me, mi hanno superato ed io sono finito in fondo. Ho peccato di esperienza. Poche settimane dopo, invece, ho vinto su un circuito in piano, cosa strana per uno scalatore come me. In quel caso sono stato bravo ad anticipare la volata e a vincere”.

La vittoria del mondiale juniores e l’accesso tra i Pro. “Il mondiale juniores si correva nella mia città, Verona, un circuito che conoscevo benissimo. Ero sicuro di vincere, conoscevo benissimo il percorso, la salita delle Torricelle. Avevo avuto modo di provare tante volte, conoscevo perfino la posizione dei tombini. Poi entro nel mondo dei professionisti, siamo nel 2004 e inizio come gregario di Gilberto Simoni al Giro d’Italia: prima del Giro d’Italia avevo già vinto cinque gare, mentre lui non ne aveva ancora vinto una. Simoni aveva colto che il potenziale nemico era in casa. Durante quel Giro c’erano state diverse tensioni. Quella rivalità ha fatto bene ad entrambi, lui ha riconosciuto la mia superiorità e oggi devo dire che con lui sono in ottimi rapporti. Sono contento di essere, ancora oggi, uno dei più giovani vincitori della corsa rosa”.

Al campionato del mondo di Mendrisio, nel 2009, Cunego arriva secondo, ma è comunque l’Italia a trionfare: “In quella occasione gli avversari, soprattutto olandesi e spagnoli, sapevano che in un eventuale arrivo in volata con me avrebbero perso. Così mi marcarono stretto e sul traguardo vinse Ballan, in fuga con me, Rebellin ed altri ciclisti”.

L’ombra del doping. In carriera ha vinto 51 corse ma avrebbe potuto vincere di più se tutti avessero rispettato le regole. E nel libro Cunego racconta anche le relazioni umane con le persone che gli sono state accanto, anche quando qualcuno ha cercato di infangare il suo nome coinvolgendolo in vicende con cui non aveva nulla a che fare. Un uomo, prima ancora che un ciclista, che “ha avuto la sola colpa di voler correre onestamente, ottenendo molto meno rispetto a quanto avrebbe meritato”, un “purosangue che ha dimostrato come, negli anni in cui il doping era molto diffuso, fosse possibile vincere anche a pane e acqua”, ci tiene a sottolineare il coautore Tiziano Marino che poi precisa: “L’unico processo in cui è stato coinvolto è ai tempi in cui militava nella Lampre, perchè in quella squadra,  Damiano era il nome più importante. Anche il farmacista, teste di quel processo ha scagionato Cunego sostenendo di non averlo mai visto ritirare e assumere sostanze dopanti. Era possibile correre e vincere onestamente, e Damiano è stato uno che si è sempre comportato in maniera pulita, forse uno dei pochi.

Torniamo alle corse e ai tre successi del Giro di Lombardia. “Tre bellissime vittorie: la prima proprio perchè era la prima volta. Nel secondo giro invece ho battuto allo sprint un altro ciclista, mentre il terzo è quello che apprezzo di più perchè sono arrivato da solo al traguardo”.

La maglia bianca del Tour de France, ma nessuna vittoria di tappa. Ho partecipato tre volte al Tour, nel 2006 in cui vinsi la maglia bianca, che va al miglior giovane under 25, poi nel 2011 e nel 2013. Sono andato molto vicino alla vittoria nella tappa dell’Alpe d’Huez, in cui arrivai secondo dietro a Schleck, bravo negli ultimi due km ad approfittare di un attimo di difficoltà da parte mia”.

Il ricordo di Marco Pantani. “Da giovane mi ispiravo a Marco Pantani con cui ha fatto un ritiro con la sua squadra, la MercatoneUno, l’ho incontrato diverse volte alle corse e con lui avevo un bel rapporto, quasi privilegiato perchè il mio direttore, Martinelli, spendeva sempre delle belle parole su di me. In gruppo Pantani era molto cercato, nonostante fosse già nella fase di declino della sua carriera, ma era molto apprezzato e rappresentava un punto di riferimento per tutti“.

Ma oggi esiste un ciclista con le caratteristiche di Cunego? Onestamente faccio fatica a trovarne uno oggi simile a me. Io sono anche un pò particolare, nel libro racconto tanti pregi ma anche tanti difetti. Ci sono dei ragazzini promettenti, sto seguendo alcuni ragazzi del mondiale under 23 che mi hanno segnalato. Vedremo se sapranno mantenere le premesse”.

Infine, un giudizio sulla carriera. “Sono contento di quello che ho fatto, ho avuto la fortuna di vincere tanto e di restare nell’ambiente. Attualmente alleno un gruppo di ciclisti giovani. Questa sarà la mia più grande sfida da qui in avanti, finchè il nome di Cunego sarà spendibile nel circuito”.

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