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Il ruolo della medicina sportiva in Italia, convegno a Salerno

Nell’ambito del progetto “I pomeriggi di Mai Sola”, si è svolto presso la sede dello storico gruppo guidato dal presidente Antonio Carmando un interessante convegno inerente il ruolo del medico nel mondo dello sport. Relatore è stato il dottor Italo Leo, da anni al servizio della Salernitana: “Medicina dello sport significa benessere, concetto che ripeto spesso ai miei calciatori. Le vere malattie sono altre, tocca a noi e ai nostri assistiti vivere un programma riabilitativo con l’umore e l’atteggiamento corretto. Gli sportivi hanno la fortuna di essere costantemente seguiti da uno staff che monitora tutto senza trascurare alcun dettaglio. Personalmente sono orgoglioso di far parte della Federazione Medico Sportiva Italiana, ente che espleta l’indispensabile funzione di assicurare la tutela della salute degli atleti anche per garantire il regolare svolgimento delle competizione e dei campionati di ogni ordine e grado. Noi dobbiamo essere tutori di tutti quei professionisti che, in ambito agonistico o ludico, hanno intenzione di cimentarsi in qualsivoglia attività sportiva. Il nostro è un ruolo delicato. Ricordo il caso di Iannarilli che perse la milza a Lucca: l’assistenza sanitaria del posto palesava agitazione, a noi tocca rassicurare anche i colleghi che intervengono assieme a noi. Fu una corsa contro il tempo perchè non ho potuto lasciare il campo, l’atleta non voleva operarsi senza il mio consenso. Sono quelle esperienze che confermano quanto il rapporto tra medico e assistito sia importante, ci deve essere fiducia nelle competenze reciproche”

Italo Leo fornisce un interessante spunto di riflessione: “Nutrizione, reintegrazione, lotta al doping: il nostro compito non è solo quello di stilare protocolli di recupero, occorrono competenze a 360°. Vi invito a riflettere su alcuni dati: l’Italia è il primo Paese al mondo per la prevenzione delle malattie cardiologiche. Purtroppo ogni tanto capita qualche tragedia e ci si chiede come sia possibile che un atleta costantemente sotto controllo possa morire per infarto, ma per fortuna sono casi molto rari per quanto dolorosi. Il tasso di mortalità aumenta nella popolazione che non svolge alcun tipo di attività sportiva. Il nostro ruolo di responsabilità è enorme. A volte qualche calciatore è venuto da me dopo aver svolto le visite mediche altrove con esito positivo, io preferisco approfondire e vedere tutto con i miei occhi sapendo che un atleta non accetterebbe mai una certificazione di non idoneità. In tanti sono stati rispediti al mittente, ma continuano a praticare sport pur con una certificazione chiara: rischiano la morte e non se ne accorgono. Ricordo a tutti che le visite di idoneità certificano che, in quel momento, l’atleta sta bene e può praticare attività, ma nelle ore successive si possono verificare fattori imponderabili che ribaltano l’iniziale diagnosi. Per fortuna molto spesso problematiche di origine cardiaca possono essere riscontrate già in fase di auscultazione. Sospendere un atleta dall’attività sportiva comporta dei rischi anche legali perchè l’atleta stesso cambia medico e magari ottiene l’idoneità. In quel caso entra in gioco l’arbitrato del CONI, il giocatore sa che se il medico ha ragione è prevista l’interruzione del rapporto contrattuale” 

Nel corso della serata, alla quale hanno preso parte tantissimi tifosi e residenti del posto, sono stati forniti consigli ai giovani e a tutti coloro che non praticano attività sportiva. Si è parlato dell’importanza dell’alimentazione, della dieta, dell’importanza di svolgere anche mezz’ora al giorno di attività non agonistica per mantenere il fisico in forma e il cuore “in allenamento”. Perchè lo sport, anche se non praticato professionalmente, può essere il più fedele alleato per la salute e per la vita. “A qualcuno, però, lo sport può fare anche male” chiosa il dottor Italo Leo mostrando interessanti slide e raccontando episodi interessanti della sua esperienza “le nostre visite sono fondamentali. Si parte da quella cardiologica, poi la prova sotto sforzo, poi ancora esami del sangue, delle urine e test per la capacità polmonare. Negli atleti professionisti è obbligatorio fare l’ecocardiogramma ogni 2 anni mentre ogni 30 giorni tutti gli atleti svolgono test ematochimici con costi che si aggirano intorno ai 10mila euro. La Lega impone un controllo trimestrale, noi abbiamo esigenze di carattere lavorativo e preferiamo interagire con tutti i test funzionali dei preparatori atletici incrociando i dati per capire il livello di condizione fisica di ciascuno. Siamo scrupolosi e non sottovalutiamo alcun dettaglio. Chi pratica attività sportiva a certi livelli talvolta si imbatte in un abbassamento delle difese immunitarie: tra i nostri nemici, incontrollabili, il virus gastrointestinale. Bisogna stare attenti anche alle infezioni: immaginate quanti virus e batteri si possono prendere in trasferta, quando si viaggia su mezzi diversi. In quel caso l’atleta va in “quarantena”. Ci sono anche alcuni alimenti che non andrebbero toccati a prescindere: dal sushi alla carne cruda. Non è vietato, ma chi lo fa sa che può incappare in qualche problema”. 

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