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LA STORIA DI FRANCESCO D’ANTUONO, MALATO DI PARKINSON, CHE SEGNA UN GOL IN PROMOZIONE CAMPANA A 47 ANNI

“E’ stata un esperienza meravigliosa. Giocare con la maglia della mia squadra del cuore non ha prezzo”.
E’ Francesco D’Antuono, affetto dal “Morbo di Parkinson” che a 47 anni ha esordito nel campionato di Promozione campana siglando anche una rete: “Più che le emozioni legate all’esordio e al gol mi preme sottolineare che ho trovato in questi due anni ad Angri, un tesoro inestimabile, fatto di persone meravigliose con cui ho condiviso momenti di gioia ma anche momenti tristi. Persone di una valenza unica che hanno sempre avuto per me un pensiero, insomma un patrimonio di valori umani di una portata immensa”.
Questi mesi di allenamenti gli hanno procurato dei notevoli miglioramenti, miglioramenti che lui definisce “combustibile naturale a costo zero che mi ha permesso di affrontare meglio la vita di tutti giorni”.
La storia
“Era il mese di Agosto 2005 ed ero al mare con tutta la mia famiglia quando una mattina mi accorsi di non riuscire a lavarmi i denti. Praticamente, il movimento della mia mano destra non era più ritmico come la mattina precedente. Nella mia testa parte una una semplice domanda: “cosa può essere?”.
Rientrato dalle vacanze andai dal medico di base, gli raccontai quello che mi era successo, iniziò a visitarmi, a farmi fare tutti i movimenti del corpo per vedere come rispondesse, infine, mi consigliò di fare una visita neurologica.
Il neurologo, il professor Pietro Biagio Carrieri, sentenziò: “Morbo di Parkinson”.
Da quel momento mi rinchiusi in un silenzio di tomba, in un attimo tutti i sogni e progetti svanirono. Avevo un unico pensiero: cosa mi succederà, che sarà di me?
L’idea di condurre un’esistenza da malato di Parkinson era insopportabile.
Il tremore, seppur mitigato dai farmaci, aumenta con l’ansia, e ogni qual volta uscivo di casa per fare una banale commissione il mio tremore aumentava vistosamente. Sentivo lo sguardo delle persone su di me, sulle mie mani.
La maggior parte delle volte inventavo una scusa con la cassiera del supermercato dicevo di aver dimenticato il portafogli a casa, lasciavo lì la spesa e fuggivo più in fretta che potevo, lontano dagli sguardi della gente. Non uscivo più, mi ero completamente isolato, non volevo che chi mi conosceva mi vedesse tremolante e rigido. Non lo accettavo.
Bisognava reagire, ma come?
Facendo ‘outing’. Nel 2007 ho inviato una lettera alla redazione di un quotidiano locale di Ladispoli, la città dove abitavo. Nella missiva, pubblicata dal giornale, raccontavo la mia situazione, dicevo di essere malato di Parkinson, raccontavo le difficoltà quotidiane legate alla mia situazione, l’impossibilità di compiere alcune azioni o la lentezza nel riuscire a compierne altre, azioni che per le persone sane sono semplici e automatiche. Narravo in sostanza la mia vita di malato, nella speranza di essere compreso e accettato dagli abitanti della mia città.
La lettera venne letta da un giornalista, Giovanni Piazza, il quale mi contattò e al quale proposi di scrivere un libro con la sua collaborazione. E così è stato. Nel 2008 il libro ‘L’inquilino dentro’, scritto a quattro mani, ha visto la luce.
Questa malattia non la si può sconfiggere (almeno per il momento), però la si può vivere in maniera costruttiva, non distruttiva. La metafora che ho utilizzato nel libro è calzante, perché il Parkinson è come una radiolina sparata a tutto volume nelle orecchie, ogni ora del giorno e della notte, ed è un disturbo che non puoi cancellare spegnendo definitivamente la radio, ma puoi abbassare il volume, puoi ‘governare’ la malattia e smettere di sentirti completamente in sua balìa. Non intendo fare l’eroe, anche se cerco di sorridere.
Non è facile convivere con un malato di Parkinson e per lui non è facile convivere con la società nella quale è immerso, perché la fretta regna sovrana, tutti sono sempre di corsa, la società li vuole svelti, efficienti, attivi. Chi soffre di questa patologia, al contrario, è ‘rallentato’ a causa dei farmaci, e tante azioni le compie con difficoltà. Quando non ce la faccio, mi siedo, anche se corro, il rischio di passare per un pigro.
Spero di guarire dal Parkinson, ma se un giorno qualcuno mi offrisse la possibilità di guarire gli direi che non vorrei farlo da solo, vorrei che tutte le persone che come me soffrono a causa di questa patologia potessero uscirne, e non stare male un giorno di più. La mitologia greca narra che il sapiente Chirone, un centauro immortale, un giorno fu ferito a un ginocchio da una freccia scoccata da Eracle. La ferita causava a Chirone sofferenze indicibili, ma non lo portava mai alla morte (era immortale), e così Chirone conviveva ogni giorno con questo enorme dolore. Ecco, il malato di Parkinson si sente proprio così, e nessuno dovrebbe sperimentare questa sensazione.
I malati di Parkinson in Italia sono 300.000. Li immagino tutti chiusi nei loro bozzoli. Quel giorno che guariremo, il bozzolo si schiuderà e 300.000 farfalle voleranno nel cielo. Quando noi guariremo sarà: “Il giorno delle farfalle”.

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).