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EMANUELA AVALLONE: “LO SPORT E’ STATA LA MIA VITA. SALERNO HA VINTO IL SUO PRIMO SCUDETTO GRAZIE ALLE MIE SCARPE”

Questa è la storia di tre amiche che si incontrano, per caso, da bambine, per merito dello sport e, nella fattispecie la pallanuoto. Sono pressoché bambine, quando per la prima volta giocano insieme. Ma la storia non è semplice come quella di Leonardo Sciascia, anzi, s’intriga, come può essere una storia romanzata di Ken Follet. Stiamo parlando di Emanuela Avallone, Maria Teresa Cozzolino e Paola Vaiola.
Sono la loro, la storia romanzata, di questo nostro percorso che abbiamo deciso di dividere in tre puntate, perché la loro storia è quella di tre ragazze che si sono dedicate con professionalità e, non senza rinunce, allo Sport.
Dicevamo che si erano conosciute poco più che bambine, e che insieme erano cresciute, praticamente in una piscina. La prima svolta, o meglio la prima separazione, avviene per una scelta sportiva da parte di Emanuela Avallone, che poco prima dei diciotto anni, decide di cambiare attività sportiva: “Ma in realtà sono stata costretta. I miei genitori non mi permisero di andare a giocare fuori da Salerno. Quell’anno non si formò la squadra nella nostra città e Paolo decise di andare in Sicilia, Maria Teresa a Caserta ed io…”
Cosa accadde alla sua carriera da sportiva?
“Io non potei fare nessuna scelta, ma delle mie amiche giocavano a Pallamano, erano Adele De Santis, Maria Fusco, ragazze che poi hanno scritto la storia a Salerno, mi dissero di andare a giocare con loro. Ed ecco che cambia il mio destino sportivo”.
In che senso?
“Nel senso che in pochi anni, mi ritrovo nel giro della nazionale femminile, e proiettata a girare l’Italia e anche a giocare in manifestazioni internazionali”.
Ma la sua carriera però nasce a Salerno, ma poi prende una strada diversa?
“Si, in realtà è così. Ho giocato tanti anni ad Altamura ed anche a Verona col Dossobuono”.
Il Dossobuono in realtà ha conteso il primo scudetto alla squadra dell’Handball Salerno, giusto?
“Già, in finale riuscirono a batterci e Salerno vinse il suo primo scudetto (Pelplast Salerno – Dossobuono di Verona 29-23 ndr).
Ma, qualche ben informato racconta di un aneddoto simpatico che aveva a che fare con delle scarpe da gioco?
“In realtà successe che Anissenkova, mi chiese se avevo un paio di scarpe in più. Lei giocava a Salerno, ma eravamo amiche. Quelle scarpe arrivarono giusto in tempo e giocarono la gara decisiva. Io le dissi che in un certo senso avevo vinto anch’io la finale”.
Come ha vissuto la sua carriera?
“Io sono stata un’atleta vera, una che viveva di sport e di riposo. Non mi sono mai permessa di uscire, vivevo praticamente a casa. Eravamo mentalizzate, pronte a sacrificarci per rendere al meglio. Cosa che ora non vedo nelle giovani leve”.
Poi lascia lo sport e… “Per circa dieci anni riscopro il piacere di una passeggiata pomeridiana, lavoro e faccio tutt’altro, senza mai pensare a ripartire da zero”.
Invece?
“Invece lo scorso anno quasi per gioco ritorno in acqua per merito delle mie amiche e quest’anno siamo di nuovo insieme in acqua, questa volta in serie B a Potenza”.
Questa è in breve la prima storia che poi si va ad intrecciare con le altre due amiche che, però, vi racconteremo nella prossima puntata. La conclusione di questa storia ci fa solo capire che quando una è atleta, prima nella testa e poi nel fisico e nelle doti tecniche, può riuscire in qualsiasi disciplina.

alfonso.pierro@libero.it

“A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato” 
(Nelson Mandela).